(Pubblicato sulla Rivista nazionale del Pd "TamTam democratico" dedicato al tema: "la città", a cura di Paolo Corsini e Walter Tocci.
Alle origini della civiltà occidentale un mito presiede all’idea di città, della polis, dunque della politica che, a sua volta, rimanda a polemos, la guerra. Una polarità, quella polis-polemos, da non perdere di vista, al fine di sottrarre polis ad una lettura irenica, edulcorata, sottratta a tensioni, a contrasti, sino al conflitto. Già Giovan Battista Vico, in modo forse eterodosso, coglieva questa ambiguità, la fatica per il governo equo della città e la “guerra” per il potere di governo della polis. Ma torniamo pure a città-polis. Qui vale la narrazione di Platone nel Protagora. I Titani Epimeteo (“colui che vede dopo”) e Prometeo (“colui che vede prima”) sono incaricati di distribuire a ciascuna stirpe mortale le “facoltà naturali” che consentono la sopravvivenza associata. Il primo, con una inversione di ruolo rispetto al proprio etimo, provvede alla distribuzione, il secondo ne controllerà il risultato. Purtroppo Epimeteo esaurisce la riserva dei doni disponibili, elargendoli agli “esseri privi di ragione”, lasciando così l’uomo “nudo, scalzo, privo di giaciglio e di armi”. Per rimediare a Prometeo non resta che un gesto sacrilego: il furto ad Efesto ed Atena del fuoco e del sapere tecnico da portare agli uomini.