Partito

La candidatura di Cappato e la “trappola” dei collegi uninominali

La candidatura di Marco Cappato è criticata da settori dell’area cattolica. Penso alle dichiarazioni dell’on. Bazoli e del vicesindaco Manzoni. Da parte mia ritengo che tale candidatura sia condivisibile in base al pluralismo del Centro Sinistra. Anche se non nascondo le mie obiezioni su una visione “radicale” dei diritti.
Valuto con serietà le critiche. Analoghi problemi di candidature ci derivano dalla riforma elettorale del ’94. Come quando tra l’Ulivo e Rifondazione ci si è accordati nel 1996 sul “patto di desistenza” nei collegi uninominali. Ma che – ieri come oggi - rimanda sempre al seguente quesito: in un Collegio uninominale il candidato unico, indicato da vari partiti alleati tra loro, è poi votato dai loro elettorati? Mentre per la Destra direi di sì, per il Centro Sinistra la risposta è molto incerta! Infatti, in alleanza col PD i vari Renzi, Bersani, Fratoianni o Bonino sono tutt’altro che certi d’esser votati, come candidati unici, dall’insieme del Centro Sinistra. Anzi! A conferma direi che il M5S ha fatto la fortuna del suo 33% anche su questo.
Provocando un po’, se immagino un voto uninominale con i Capilista delle liste in Loggia, suddivisi in otto ipotetiche circoscrizioni in città, non avremmo avuto certo lo stesso voto del 55% per Castelletti. Stessa Alleanza e stessi Candidati, ma cambia radicalmente la “offerta” della rappresentanza politica!
In un sistema pluripartitico, com’è il nostro, ho sempre ritenuto che il voto per Collegi uninominali fosse per il Centro Sinistra una…“follia”. La stessa che ci ha spinti a sostenere il sistema uninominale per poter costringere – ope legis - il sistema politico italiano verso il bipartitismo. Inseguendo il mito del partito unico del Centro Sinistra. Con relative “vocazioni maggioritarie”, ma poi con i risultati che sappiamo.
La legge elettorale del ’94 è bicefala. Con due principi opposti. Per Regioni ed Enti locali ognuno vota il suo partito che si allea con altri. Come s’è fatto in Loggia, con la Sinistra che s’è alleata con Calenda-Renzi. Ma ognuno votando il proprio simbolo. Ed insieme – ma distinte! - le otto Liste hanno vinto, cogliendo il cuore d’una rappresentanza differenziata della città.
A livello nazionale no. C’è un candidato unico e con vari cambiamenti in 30 anni: dai 2/3 dei seggi per Collegi uninominali col Mattarellum, del 1994, ridotti a circa un 1/3 con il Rosatellum.
Ma che c’entra tutto ciò con Cappato? Tutto, perché la politica tutta e sempre si tiene. Perché nell’ambiguità del PD sui Collegi uninominali – dove tutti gli elettori dell’alleanza votano un candidato, ma d’un solo partito - entra in crisi il Centro Sinistra. Mentre il Centro Destra fa la sua politica. Infatti, nel 2020 ha pure tentato il colpaccio col Referendum, promosso dalle otto sue Regioni, per avere il voto espresso solo sulla base di Collegi uninominali, senza neppure il 25% proporzionale. Tentativo poi respinto, ma dalla Consulta.
Con un sistema elettorale più simile a quello di Regioni e Comuni il Paese avrebbe avuto un’altra storia. Come peraltro diversa è stata la storia tra Governo nazionale e Territori, con il Centro Sinistra allora al Governo in 15 Regioni (e non le 4 di oggi) e nel 65% dei Comuni!


Pd: la rifondazione è appena cominciata

Ho trovato l’intervento dell’amico Elio Marniga molto interessante, seppur non condivisibile. Interessante perché dice d’un suo malessere nel PD. Non condivisibile, perché è una critica senza proposte. Uno sfogo. Ma se mi fermassi qui barerei al gioco perché proposte possono certo venire da tutti. Ma, in primo luogo, sono l’ubi consistam d’un gruppo dirigente di partito. Se è per davvero tale! Ma su questo punto dolente Marniga ha una qualche fondata ragione di critica.
Conosco e stimo Elio da tempo. Più volte mi ha fatto anche gradito omaggio di sue pubblicazioni. Molti anni fa abbiamo sui primi Social incrociato le lame della polemica, pur non sapendo chi fosse, perché trincerato dietro un intrigante “nom de plume”, di rimando ebraico. Per questa stima prendo in grande considerazione i suoi “umori neri”, che lo han portato in parte fuori dal PD. Aggiungerei che vedo in lui anche una lunga storia democristiana, tutta “bresciana”. Con quella connotazione positiva che ha dalle nostre parti. Anche se, già in un lontano 2011, criticavo quel suo inquieto “zigzagare” e pure la sopravvalutazione della “Officina della Città” di Francesco Onofri in Loggia!
Ma, con amichevole franchezza, gli chiedo che rapporto c’è tra le sue idee politiche degli anni passati e l’attuale situazione critica del PD? Di mio penso che questo sia per molti il nodo solitamente evitato nello stabilire un qualche nesso tra il proprio dire col proprio fare.

Congresso regionale PD: politica e sfide del Centro Sinistra

La direzione regionale del partito democratico venerdì 7 luglio ha stabilito le regole e il giorno per l’elezione del nuovo segretario regionale, A votare, domenica primo ottobre, saranno i 21. 471mila iscritti al partito in Lombardia, di cui 2.897  a Brescia  (seconda provincia come sostenitori dopo Milano che ne ha quasi settemila). Le candidature dovranno essere presentate entro il 26 agosto. Anche a Brescia sono previsti congressi per il rinnovo del direttivo e del segretario provinciale e di quello cittadino.  
Congresso che riuscirà a sanare la doppia anima presente nei dem, quella progressista di sinistra e  quella cattolica? Ne parliamo con il presidente della direzione regionale Claudio Bragaglio.

Il PD, una generosità nelle alleanze

Cosa insegnano la storia delle radici dell'Ulivo
e la vittoria di Laura Castelletti?

Nel condividere le proposte sociali dell’on. Bersani alla festa del PD di Nave, mi scorrevano in testa le opposte parole di Conte (Paolo!) che, sulle note di “Azzurro”, dicono d’un “treno che nei miei pensieri all'incontrario va”. Convinto da sempre che sia la politica a dar corpo ai programmi. E non il contrario.
Aiutato in ciò persino da Archimede con quel suo famoso “punto di appoggio” per poter sollevare il mondo! Nella metafora: la politica, appunto! Proprio quello che ci spinge ad individuare anche gli errori politici fatti, per evitarli in futuro.
Il primo errore è stata la presunzione, con relativa sconfitta, dei “Progressisti” nel ‘94. Quindi il mancato accordo tra PDS e Popolari. Ma, a fine ’94, c’è invece l’alleanza per la Loggia, con la vittoria di Martinazzoli-Corsini, che apre la via dell’Ulivo.
Ma nell’Ulivo di Prodi vi sono poi tre tendenze: chi è per un Ulivo come alleanza strategica, chi per un Partito Democratico americano (Prodi e Veltroni), chi per un Partito Socialista europeo (D’Alema e Amato). Ma un convegno, nel ’97 a Gargonza, preannuncia la rottura, tra chi riteneva l’Ulivo una alleanza strategica e chi una rapida fase di passaggio verso un partito. Questa la vera causa della crisi del Governo Prodi. Con Bertinotti a far da cavia.
Da lì prese vita l’ambaradan per referendum, leggi ipermaggioritarie e collegi uninominali che ci han portato fino al disastro del Rosatellum. Col mito del “Sacro Graal” d’un PD, unico e maggioritario, che ha soppiantato l’Ulivo plurale e l’alleanza tra diverse forze.
Ma la miopia nazionale fu tale da far convivere i due opposti principi, lacerando quindi il cuore stesso del PD. Infatti in Comuni e Regioni il PD si ritrova in un sistema simil-proporzionale, con premio di maggioranza per la coalizione vincente. Quindi con un modello ulivista. Mentre per il Parlamento viene premiato il partito maggioritario, ma a danno degli alleati. Quindi con un modello…antiulivista!
Un sistema, quello locale delle alleanze, che ha portato un PD al governo del 65% dei Comuni e in 15 Regioni, mentre quell’altro PD perdeva a livello nazionale! Ed i programmi? Non più che lo zigzagare tra opposte scelte politiche e dieci segretari del PD. Con tutti quegli opposti “punti di appoggio” del PD che avrebbero fatto sclerare persino quel genio di Archimede.
E le vicende di M5S e Renzi? Il frutto vien dalle radici, quindi da dove son sbucate, se non da quella storia del PD? Non è forse dalla reazione ad un anomalo bipartitismo – già dall’accordo Veltroni/Berlusconi del 2007- che è cresciuto fino al 33% il M5S di Grillo? Non è per un tale bipartitismo che si fa la “battaglia al centro” da cui è poi nato Renzi, con 70% del consenso in un PD “neocentrista”?

Per un nuovo PD: alleanze, pluralismo, collegialità

Nasce un’area Bonaccini nel PD? Per me è un bene! Tutti pronti a criticare – giustamente - il correntismo, ma esso si espande proprio perché mancano le…correnti! Diciamo meglio: mancano aree politiche definite e chiare. Legittimate da Mozioni e da Congressi. Solo un PD che regola la dialettica delle sue componenti può mettere a freno il correntismo più deteriore. La balcanizzazione. Infatti il pluralismo del PD è quello degli iscritti che si riconoscono in aree culturali e politiche.
Bersani sbagliò a fare il “Segretario di tutti”, senza un’area propria, tra le diverse aree. Schlein rischia su questo stesso punto. E’ quindi meglio definire in modo democratico e con politiche chiare le varie componenti che si confrontano, assumendo responsabilità in una cornice unitaria del PD. Piuttosto che avere dei pretoriani a difesa della “Tenda del Capo” di turno, nel campo d’un Agramante, con tutti contro tutti. Da non dimenticare i 10 generali/segretari liquidati nei 15 anni di vita del PD! A cui aggiungere i “101 congiurati", nel 2013, contro Prodi!
E’ meglio infatti un pluralismo trasparente piuttosto che un correntismo sregolato. Personalizzato spesso sugli “eletti” - dai Sindaci ai Parlamentari - che si fanno partito nel…partito! Con proprie finanze e strutture. Quindi un PD degli eletti “versus” un partito-società!
Tutto ciò che va nella giusta direzione è il benvenuto! A partire da aree, come il riformismo di sinistra, il cattolicesimo democratico ed altre ancora, ma che nel vecchio PD si sono purtroppo scomposte e spesso...imboscate. Aree distinte non perché “l’una contro l’altra armate”, ma per assumere responsabilità anche d’una gestione unitaria del PD. Come mi auguro per i prossimi Congressi del PD in Lombardia e a Brescia. Evitando tentazioni - già affiorate - di mettere in campo ristrette logiche di potere o di candidature personali.
Quindi un augurio all’area di Bonaccini, anche se non è certo la mia area di riferimento! Ma è un segnale anche per chi ha vinto un Congresso, ma non s’è ancora mosso a sufficienza. Anche sulla collegialità della guida politica. Sapendo che le vittorie van da subito “messe a terra” perché comportano responsabilità a 360°. Sapendo che ad una travolgente azione - se poi mal gestita - corrisponde un’analoga, ma opposta forza di…reazione! In politica, come in fisica, vale il “terzo principio della dinamica”. Come quella, ci direbbe Schlein, d’una slavina che t'arriva addosso senza neppur averla avvistata!
Si crede che l’ultimo congresso del PD sia nella norma e non – come ritengo – un’eccezione. La vittoria di Schlein non è la conferma d’un moto ormai pendolare dell’ennesimo cambio di segretari e di linee nel PD. Ne è invece la sua più radicale sconfessione, che parte da Letta, per risalire fino a Veltroni. Nessun segretario escluso.




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