Interventi

NASCE A BRESCIA L’ASSOCIAZIONE DI STUDI EMANUELE SEVERINO

NASCE A BRESCIA L’ASSOCIAZIONE DI STUDI EMANUELE SEVERINO
SABATO 25 FEBBRAIO, ORE 10, PALAZZO LOGGIA, INCONTRO PUBBLICO CON IL FILOSOFO SEVERINO
L’Associazione di Studi Emanuele Severino, con il Comune di Brescia, promuove il 25 febbraio, ore 10, presso il Palazzo della Loggia, un Incontro Pubblico con  il filosofo EMANUELE SEVERINO.
Per la presentazione, in occasione del suo compleanno, dell’Associazione a lui dedicata che ha sede a Brescia.
Intervengono: EMILIO DEL BONO (Sindaco di Brescia), VINCENZO MILANESI (Rettore emerito dell’Università di Padova, Presidente dell’Associazione), INES TESTONI (Professore associato di Psicologia presso Università di Padova e Vicepresidente dell’Associazione), ANNA LUDOVICA SEVERINO (Vicepresidente dell’Associazione), PAOLO CORSINI (Senatore della Repubblica), PAOLO BARBIERI (Direttore rivista QuiLibri), CLAUDIO BRAGAGLIO (Nuova Libreria Rinascita), GIULIO GOGGI (Professore di Filosofia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano).

Bragaglio: in ricordo del compagno Giulio Dalola

Il suo nome, nel partito, come un po’ per tutti noi allora, era il cognome. Quindi: il compagno Dalola.
Nel PCI, anche appena conosciuti, ci si dava confidenzialmente del “tu”, ma col cognome, preferibilmente. A maggior  ragione nei confronti politici in sede di Direttivo o di Comitato Federale. Poi con l’andare del tempo si passò gradualmente, più o meno con tutti, al nome. Dava un maggior senso di familiarità, d’informalità e di comunità. Ma allora, a differenza di oggi, gli organismi dirigenti di partito erano regolarmente e frequentemente convocati: settimanalmente il Direttivo, mensilmente il Comitato Federale. Il lunedì mattina, poi, la “riunione di apparato”, ovvero dei funzionari, per definire impegni, campagne politiche, il “piano di lavoro” che registrava ogni giorno le riunioni nelle sezioni e relativa partecipazione dei funzionari, dei responsabili di zona o di settore. “Piano di lavoro” ben visibile a tutti sulla scrivania dell’organizzatore.
La politica, con la sua dialettica e i suoi scontri, si sviluppava direttamente nel partito, più che altrove. A livello di Federazione, come nelle Sezioni. Quella concreta attività era la vera “scuola di partito”. Ancor più dei famosi corsi – Frattocchie incluse – che pure si organizzavano, anche a Brescia, nelle sezioni o con corsi estivi, agli inizi degli anni ’70, a Cevo, a Collio o al Gaver. Quella la vera e quotidiana formazione d’un dirigente politico, da cui veniva la sollecitazione a studiare, imparare e a conoscere le realtà di fabbrica o dei comuni.

Bragaglio: riflessioni sulla riforma costituzionale

(Articolo pubblicato sulla Rivista Qui Libri n. 37 - settembre 2016)

Per una più corretta valutazione dell’attuale riforma costituzionale, va ricostruita, anche solo per cenni, la storia che l’ha preceduta.  Il punto di svolta va individuato nel triennio 1989-92, con la crisi del sistema politico in Italia ed in Europa.
Il periodo precedente si era collocato nel quadro costituzionale definito nel biennio 1946-48. Le cui scelte fondamentali sono ben note: repubblica, governo parlamentare, bicameralismo perfetto, sistema autonomistico, ruolo dei partiti politici, sistema elettorale proporzionale.
In sede di Assemblea Costituente non erano mancate autorevoli e diverse proposte, in particolare, per una Repubblica Presidenziale, da parte di Luigi Einaudi e di Piero Calamandrei.  Ma con l’approvazione nel settembre del 1946 dell’ordine del giorno Perassi prese definitivamente forma il modello d’un Governo parlamentare. Agli occhi dei critici con questa scelta si dava luogo ad un “motore privo dell’ingranaggio della stabilità”. Con un governo in balìa del proporzionalismo, la paralisi d’un bicameralismo perfetto, la moltiplicazione incontrollata dei partiti.
Tali funeste previsioni vennero poi smentite, ma con riferimento non tanto ai meccanismi costituzionali, quanto al concorso di altri fattori di stabilizzazione. Il primo, di carattere esterno, dovuto alla contrapposizione tra i due blocchi della “guerra fredda”, con conseguente “conventio ad excludendum” nei confronti delle sinistre PSI e PCI. Dando così luogo ad un  “bipartitismo imperfetto”, come è stato definito dal politologo Giorgio Galli. Con una pregiudiziale delimitazione dell’area di governo che ha operato come fattore coesivo per varie maggioranze, tutte imperniate sulla DC.

Bragaglio a Rolfi: riportare la Valcamonica nell’ATS bresciana

In vari interventi, il consigliere regionale Fabio Rolfi s’è misurato con i problemi della futura provincia di Brescia. Ma in modo, direi, dissociato. Per metà, da leghista duro e puro, con propaganda, polemiche e fendenti all’aria, con quel suo spadone leghista. Per metà, invece con argomenti ragionati, per cui valga l’impegno per un confronto serio. Quand’anche in polemica con un PD nazionale, ancora troppo incerto sul futuro degli Enti di Area Vasta.  
Da parte mia non m’attarderei sui limiti della legge Delrio, come fa Rolfi. Anzi mi ritrovo a difenderla, visto che tira un’aria persino peggiorativa. Ma – ed è il primo punto che gli pongo – qual è l’obbiettivo del presidente Maroni? Sparlare strumentalmente del Governo nazionale o proporre un progetto autonomista, resistendo alle proprie tentazioni d’un neocentralismo regionale?
Intanto constato che la Lega, oltrepassando il confine lombardo, seppur titubante ha messo il naso appena oltre il Ticino, diventando filo-elvetica. Con quei suoi “Cantoni”, al posto delle Province di conio napoleonico. In verità, i Cantoni c’entran nulla con la Lombardia, ma fa sentire la Lega meno sola con Grigioni e Vallesi. Vedremo se lì si ferma o le vien voglia anche d’un po’ d’Europa.

Autonomia Camuna in un "Ente bresciano di Area Vasta"

Ho letto vari interventi su Graffiti e rilevo contrapposizioni sull’aggregazione o meno della Valcamonica alla Valtellina. Ma lo stato di confusione è del “Quartier generale”, che sovrintende alle riforme degli Enti Locali, e non già della sola Valcamonica, Al punto che nello stesso Arco Alpino troviamo tre speciali Province Montane, tre Regioni a statuto speciale (con la Lombardia a voler fare la quarta), due Province che fanno una Regione, nonché tre Regioni a statuto ordinario. Peggio d’un cubo di Rubik, come rompicapo.
Per non dire, poi, della “abolizione delle Province”, brandita come un bastone demagogico. Mentre nel contempo la legge Delrio indica una condivisibile riforma. Ma non è certo agevole far convivere sullo stesso tema (magari nello stesso partito) riformatori e rottamatori.


Valcamonica da Brescia a Sondrio? Strappo inaccettabile. La voce ai cittadini

Il Presidente della Provincia, Pierluigi Mottinelli, sostiene in modo del tutto convincente le ragioni d’una riforma autonomista, nonché il grande valore della “specificità” della Valcamonica, come parte costitutiva della Provincia di Brescia. E non già di quella di Sondrio. Con cui ha poco nulla da spartire da un punto di vista storico e culturale. Come peraltro anche nell’organizzazione dei servizi territoriali, se non per il passo dell’Aprica da valicare o per il traforo del Mortirolo ancora (purtroppo) da fantasticare.
Al punto che Mottinelli, contro i vari tentativi di staccare dal bresciano la Valcamonica, ritiene opportuno “prevedere almeno un pronunciamento dei cittadini della Valle Camonica”.
Se non fraintendo, nientemeno che un Referendum consultivo. O giù di lì.
Bene. Personalmente ritengo sia una scelta coraggiosa e condivisibile, la sua. E, a fronte d’una qualche follia istituzionale e di mediocri interessi personali, sia una scelta giusta per recidere il nodo. Scelta peraltro possibile in base all’art. 52 dello Statuto della Regione Lombardia e all’art. 7 del nuovo Statuto della Provincia.
Una cosa è del tutto chiara.
Tramontata l'idea originaria (gennaio 2015) dell'unico Cantone Montano della Lombardia del nord (dall’Alto Garda fino a Lecco e a Como!) e al di là di demagogiche ambizioni e di pasticci tra pezzi del PD e leghisti, non c'è spazio alcuno per una "Provincia camuna". O per un autonomo "Ente di Area Vasta", che dir si voglia.



La storia di Brescia cucita su misura in sartoria

No. Non avrei immaginato di recensire un libro che traccia la storia d’una prestigiosa sartoria di Brescia. E, per giunta, di ritrovarmi a farlo con crescente interesse, scoprendo in quel microcosmo di Corso Zanardelli, tra stoffe ed abiti alla moda, un così variegato caleidoscopio di persone, vicende e curiosità. Persino con quel suo numero civico – un 30, scritto in rosso – e con quel nonsoché d’originale, svelato dall’Autore. Dovuto ad una numerazione preesistente, come “Contrada del Gambero”, e ad una distinzione di colore per differenziare l’attività: il nero (per le abitazioni) ed il rosso (per il commerciale).
Son descritte curiose vicende che s’intrecciano, per chissà quali strane congiunzioni astrali, e che hanno formato, oltre che professionisti di livello, anche famiglie ed amicizie di sarti e di lavoranti.
Merito dell’autore, Guido De Santis, che con questo lavoro rende un affettuoso omaggio a suo padre Luigi, protagonista di questa storia, nonché a Brescia, la sua città.

Autonomia e Area Vasta bresciana, ma con la…Valcamonica

Nei prossimi giorni, con la consultazione promossa da Regione Lombardia, ci si misurerà a Brescia con un passaggio cruciale. Il Documento regionale – per intenderci, quello dei ‘Cantoni svizzeri’ in Lombardia – contiene proposte in parte condivisibili ed in parte no. In gioco vi è il futuro delle Province, intese come ‘Enti di Area Vasta’. Ma non solo.
Le opinioni in campo sono assai spaiate. Anche nel PD del Governo. Tra Province da sopprimere o da riformare. Si tratta, dopotutto, d’un match tra riformatori e rottamatori. Riformare per me significa: valorizzare le Città metropolitane e gli ‘Enti di Area Vasta’, intesi come enti di secondo grado.
Confermare questi punti – già previsti dalla legge Delrio – vuol dire non “abolire” la Provincia, ma trasformarla in una ‘Casa dei Comuni’, come propone il presidente Mottinelli.
Il contrasto su tali enti è tutt’altro che astratto. Una ventina sono da sopprimere: o perché Province troppo piccole (quindi unificandole) o perché inserite in micro Regioni che le possono sostituire.
Ma in Regioni grandi come la Lombardia le nuove Province sono un’intelaiatura istituzionale indispensabile per i Comuni stessi, con riferimento a molteplici problemi sovra comunali.



ROSA ROSSI ZANI - Intitolazione della Biblioteca di Nave - Intervento di Claudio Bragaglio 12 03 16

Con emozione ci ritroviamo per condividere una civica testimonianza e per intitolare la Biblioteca in memoria della professoressa Rosina Rossi Zani, già Sindaco del Comune di Nave, dal 1971 al 1975.
Un sentito ringraziamento al Sindaco Tiziano Bertoli ed al Comune per questa scelta, che riguarda peraltro una Biblioteca inserita nel contesto della storica sede del Municipio. Molto significativo il riferimento ad una istituzione culturale, ma, al tempo stesso, anche all’attività di educatrice e di docente, svolta da Rossi Zani, in particolare all’ITIS Benedetto Castelli di Brescia.
Ed è con grande piacere che porto il saluto e l’adesione a questa nostra cerimonia anche della professoressa Simonetta Tebaldini, dirigente scolastico dell’ITIS.

Il libraio di piazza Vittoria e il mugnaio di Potsdam

Da alcuni giorni viene sottoscritta una petizione a favore della bancarella del libro, gestita dal libraio Pierluigi Perini, situata sotto i portici di piazza Vittoria. In discussione il mancato rinnovo della Concessione, da parte del Comune di Brescia, nonché una controversia sull’area occupata con servitù di pubblico transito. Quindi con rischio di chiusura. Si tratta d’una singolare libreria dell’usato, in cui si possono trovare libri a buon mercato, come rarità ed antiche edizioni di pregio.
Seguo, come molte persone interessate ai libri, la polemica in corso sulla bancarella dell’amico Gigi. La sua è una bancarella un po’ nascosta e rintanata, con quei suoi vecchi libri. Che non dà alcun fastidio. Ordinata e discreta. Un simpatico ritrovo per uno scambio di idee tra lettori, anche un po’ ‘vintage’, o per un perditempo tra bibliomani e bibliofili. Un bell’angolo di cultura e d’amicizia, nulla più. Piccolo, ma tanto piccolo, della nostra Brescia. Senza i riflettori pubblici per voti da contendersi. Senza associazioni commerciali che poi ti farebbero la guerra in Loggia. Senza il lustro della notorietà. Senza santi protettori in Paradiso. Tutti infilati, quindi, i migliori motivi per un distratto scrollar di spalle e per… lasciar perdere. O forse, proprio per questo, no. Con le prime 500 firme che tra poco raddoppieranno, e più. Virali, come in una rete, ma di passaparola.
Leggo di motivazioni amministrative, nonché di contromosse sgarbiane , con minacce di carte bollate e d’avvocati. Rispetto la correttezza delle prime e m’interrogo perplesso sulle seconde. Non tutto m’è chiarissimo. Confesso. Ma non m’importa. So solo che brandendo sacri e formali principi e scomodando, sul versante opposto, parrucche e toghe nere di tribunale, in casi come questi, anche quando ti va bene, tutti finiscon un gran male.





Bragaglio: Chagall e la polemica contro le ‘grandi mostre’

La mostra di Chagall mi pare sia striata da troppe polemiche. Si tratta ora di evitarne di nuove e di maneggiare con cura quelle già esistenti. Per il buon esito della mostra stessa.

Ciò mi porta subito a dire che non m’avventuro sulle questioni tirate in ballo per eventuali interessi del Direttore Di Corato per Mostre, Cataloghi e Case editrici. Di questo risponderanno Piattaforma Civica dell’avv. Onofri e Centro Destra. Per quanto mi riguarda vorrei stare al merito, dicendo di condividere la scelta, seppur estemporanea, della mostra di Chagall, con Dario Fo.

Ma, a differenza di altri, in piena coerenza con la mia precedente condivisione anche della proposta di Goldin. Penso infatti abbia ragione il prof. Vasco Frati quando osserva che “al di là delle cortine fumogene… si tratta d’un progetto che ripropone il metodo Goldin dell’iniziativa organizzata chiavi in mano”.

Ha quindi senso rileggere la discussione estiva su cui sono intervenuti in molti, tra cui Sindaco, Vicesindaco e Direttore. Per trarne una morale, come si diceva un tempo.   

In particolare debbo una risposta ad uno stimato amico di vecchia data. Al presidente Massimo Minini che mi sollecitava una modifica delle mie opinioni. Ma non avrei mai pensato di poterlo amichevolmente contraddire - e con troppa facilità - a distanza di così pochi mesi.

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