Nel mare mosso dei commenti c’è una boa che non va smarrita. Pur sballottati, già dal primo turno elettorale. Una boa che riguarda un possibile – nonché auspicabile - nuovo posizionamento del PD renziano nel sistema politico. Dopo l’obbiettiva crisi del “Partito della Nazione”, con questo voto. E che è già motivo di valutazione critica dello stesso segretario Renzi. Un segnale che va colto anche dalla sinistra del PD, finora divisa proprio su questo punto essenziale. Avendo ritenuto - almeno una parte di essa - che Renzi e il Pd fossero ormai oltre le colonne d’Ercole.
Non che m’illuda. Applico però, con realismo, ad una certa politica quello che l’economista Adam Smith diceva del mercato. Non è dalla benevolenza del fornaio o del macellaio che ci aspettiamo il pranzo, ma dai vantaggi che essi sperano di ricavarne. Quindi si è indotti a parlar bene del loro egoismo e non già della loro umanità.
Alcune cose sono evidenti. L’area del centro destra si mantiene ampia anche dove è divisa. Direi vantaggiosamente “articolata”, a maggior ragione, come a Milano, dove trova anche una leadership come Parisi. Con il partito di Alfano che segue il richiamo di madre natura. Il Pd renziano non sfonda al centro. Il sistema è tripolare, con il M5S, che gioca una partita di primo piano. Il PD renziano paga invece un’oggettiva (e dirompente) schizofrenia: è un partito solitario e maggioritario (nelle aspirazioni) a livello nazionale ma, nel contempo, un partito coalizionale di centro sinistra ulivista (da Milano con Sala, a Cagliari con Zedda). Il bipartitismo infatti non è mai nato. Né nascerà.