Un dato di fatto sembra ormai acquisito, al punto da apparire quasi incontrovertibile, quanto alle scelte politiche dei cattolici italiani in occasione delle consultazioni elettorali, per lo meno a partire dall’ultimo decennio. Come è confermato da ripetuti sondaggi, da analisi sociologiche, nonché da verifiche condotte in occasioni le più disparate, al di là delle mutazioni intervenute nella geografia dell’Italia cattolica, per riprendere il titolo di un recente, interessante lavoro dovuto a Roberto Cartocci, tali scelte vanno ricondotte a prevalenti motivazioni pratiche, contingenti, più che non a ragioni etico-valoriali, a convincimenti non negoziabili in rapporto a principi che attengono a questioni moralmente “sensibili”. E del resto solo marginalmente influente risulta il peso della gerarchia ecclesiastica rispetto alle propensioni di voto, a prescindere dagli stessi orientamenti non sempre uniformi, quanto alle sfumature che li caratterizzano, dell’episcopato e delle stesse autorità vaticane. Insomma, per tradurre in soldoni: il voto dei cattolici tende sempre più a coincidere, sin quasi alla sovrapposizione, con il voto degli italiani.