Bragaglio: in ricordo del compagno Giulio Dalola 23 06 16

Interventi

Daspo: la prefettura non si chiami fuori

Ho letto, con l’attenzione che meritava, l’articolo di Nuri Fatolahzadeh, titolato: “Daspo, ingerenza della Prefettura. La Sinistra chiama in causa Roma”. Un’impostazione pressoché unanime sulla Stampa locale ed a cui è seguita una replica – piuttosto risentita - della Prefetta, dott.ssa Laganà.
Sulla vicenda Daspo si son registrate discussioni, ma non rotture incomponibili nel Centro Sinistra. La sua applicazione ci dirà – per conferme od eventuali cambiamenti – l’effettivo suo decorso. Anche alla luce delle modifiche introdotte nel Regolamento ed in base alla gestione del problema da parte della Polizia Municipale. Ma di certo, son per nulla preoccupato dal garrire delle bandiere di…vittoria agitate dal Centro Destra e dal suo “Commander-in-chief”, Fabio Rolfi, che non toccando palla nell’attività amministrativa – si veda anche la vicenda del Tram – s’accontenta della propaganda securitaria. Auguri…

Ma vi è un punto critico non convincente nel tentativo della Prefettura di rigettare l’ombra di sue ingerenze e di pressioni improprie sulla Loggia. Più che opportuna l’interrogazione della Sinistra in Parlamento. Sentiremo le risposte del Ministro. Ma che potrebbe dire di eventuali – e probabili! - pressioni del Governo e della stessa Lega sulla Prefettura? Non è la prima volta a Brescia. Ben più delicato è il rebus, che la stampa ha riportato, con riferimento alla richiesta del Daspo fatta in sedi ufficiali dal Questore di Brescia. A rigor di logica la risposta d’una Prefetta, che chiama in causa la sola responsabilità della Loggia, segna – per quanto implicitamente – una divaricazione con la Questura che ha esplicitamente chiesto il Daspo. Immagino non si tratti d’una disattenzione.
Mi immagino confronti riservati e preparatori delle riunioni pubbliche. Una prassi del tutto naturale tra istituzioni. Ma perché far rimbalzare su altri soggetti pubblici problemi che meriterebbero solo di essere chiariti? Magari per esser poi smentiti pure dai verbali. In che sedi, in che termini, a che livelli. Mentre emerge l’impressione – voluta? - d’una netta distinzione sul Daspo tra Prefettura e Questura. E d’una messa in croce della Loggia.



L'eroismo dei Padri e gli errori dei Nonni

Nell’intervento a Sarezzo per la celebrazione del 25 aprile non mi sono risparmiato un passaggio “problematico”. Per quanto non proprio il massimo per celebrare una festa. Infatti, dopo aver richiamato tutto ciò che andava detto - dall’eroismo dei Partigiani, ai valori dell’Antifascismo e della Costituzione - m’è uscito di botto il mio vero cruccio. Oltre la vittoria del ‘45, la tremenda sconfitta degli anni ‘20. I perché, quindi, dell’Italia e della Germania consegnate al Fascismo ed al Nazismo. Con la valanga di libri ben scritti, ma che spesso vien rimossa. Eppure anche Umberto Eco ci ha parlato d’un Ur-Fascismo, ovvero d’un “Fascismo eterno”! Di sicuro, c’è un certo clima di destra radicale, di guerre, di democrazie in crisi, di “democrature” contagiose alla Orban, di populismi che ci appesta, ma che respiriamo. Ho così richiamato, insieme ai successi della Resistenza, la precedente e colpevole sconfitta delle forze democratiche. Pur nella “messa cantata” del 25 aprile non mi sono quindi risparmiato il richiamo alla “messa funebre” degli anni ’20/30.
Ricordando due vicende.
Le elezioni del 1921 in Italia. Con un 20% del Blocco nazionalfascista, mentre tutto il resto delle forze democratiche era contro. Con i soli popolari e socialisti, che insieme facevano il 45%.
Le elezioni del 1930 in Germania. Con Hitler che ha solo il 18% del voto, mentre vari partiti popolari cattolici di centro sono al 23%, i socialdemocratici al 24% ed i comunisti al 13%.
Ma dopo solo tre anni in Italia, nelle elezioni del 1924 la lista mussoliniana è al 65%, con popolari e socialisti al 20%. Poco nulla i comunisti. Così come dopo solo tre anni anche in Germania, Hitler ha la maggioranza relativa con il 45%, mentre tengono a fatica i socialcomunisti, ma sparisce il  voto del Zentrum cattolico, travasato nel Nazismo.


Etica e politica in Cesare Trebeschi - la testimonianza di Paolo Corsini

La scomparsa di Cesare Trebeschi, avvenuta il 10 aprile 2020, alla venerabile età di 94 anni, ha suscitato vivide emozioni e profondo dolore non solo in quanti lo hanno direttamente conosciuto e frequentato: una perdita e un lutto che hanno  coinvolto l’intera comunità bresciana da lui rappresentata in qualità di Sindaco per un intero decennio, dal 1975 al 1985. Una straordinaria lezione fatta di passione generosa, di impegno rigoroso e severo, di riconosciuta competenza e lungimirante visione. Potrei dire di autentico spirito di servizio, se l’espressione non fosse ormai logorata e da tempo sottoposta ad ipocrisie ed abusi. Una comunità che, pur non potendo prender parte alle esequie, a motivo dell’emergenza sanitaria, non ha mancato,  attraverso le voci tanto di autorevoli esponenti della vita pubblica, quanto di anonimi cittadini, di rendergli un tributo di riconoscenza nel segno di una partecipazione condivisa e corale. Come ha annotato Giacomo Canobbio: “Ora tocca a noi fare memoria di un figlio […], di un servitore della città terrena che ha vissuto con passione e nello stesso tempo con il distacco necessario per chi voglia restare libero, condizione indispensabile  per lasciare ai posteri l’eredità che è appello  all’impegno”. Si affastellano nella mia mente i  molteplici ricordi degli anni trascorsi con lui in Consiglio comunale a Brescia, su banchi allora avversari, da sponde politicamente divise, ma non a tal punto contrapposte da far perdere di vista il comune fondamento di una colleganza amministrativa: l’affezione alla nostra città. Un confronto serrato da lui condotto con determinazione certamente – un temperamento il suo fermo e saldo nella irremovibilità dei principi - ma pure una disposizione all’ascolto, ad un confronto fatto di rispetto come esito tanto di autenticità morale quanto di profonda interiorizzazione della regola democratica.

Salvare il salvabile dopo la ‘follia’ della Tintoretto demolita

Nella polemica  sui nuovi alloggi in zona Tintoretto vedo il classico … scaricabarile tra Centrodestra e Centrosinistra. Immagino che in questa vicenda, che risale al 1997/98, se ne capisca un gran poco tra torti e ragioni. Nell’epilogo negativo che si profila non si salva nessuno. Perché il tutto nasce da due errori. Da una “follia amministrativa”. L’uno del Centrodestra, l’altro del Centrosinistra. Ma per capire questo brutto colpo di coda, va considerata la sua testa!
La Giunta Corsini, con il sottoscritto Assessore alla Casa, presenta nel’97 in Regione tre progetti; Residence Prealpino, Quartiere Mazzucchelli e Torri Tintoretto-Cimabue. I primi due vanno  in porto. Il terzo pure, ma… sulla carta, con l’impegno serio di due Assessori regionali, Piero Borghini e Mario Scotti. Con uno stanziamento di 20 mln per la riqualificazione delle due Torri. Pochi mesi dopo in Loggia  vince il Sindaco Paroli che prevede l’abbattimento delle Torri, senza alcun progetto concreto, se non la polemica verso  il S. Polo Nuovo di Bazoli e Benevolo. Intanto perdiamo i 20 mln che vanno alla Sindaca Moratti! Nei 5 anni del Centrodestra un nulla di fatto.


quibrescia.it

https://www.quibrescia.it/lettere/2024/04/11/torre-tintoretto-salvare-il-salvabile-dopo-la-follia-della-demolizione/693592/

bsnews.it

https://bsnews.it/2024/04/11/salvare-salvabile-tintoretto-demolita-bragaglio/

A2A ad un bivio. Direzione: Governance pubblica e territorio

A2A è ad un bivio. Anche i brillanti risultati della gestione dell’a.d. ing. Mazzoncini direbbero per A2A d’una scontata prospettiva. Ma così non è se il Sindaco di Milano parla d’una “diluizione” dei Comuni di Milano e di Brescia, in un accresciuto capitale sociale di A2A. Una proposta non concordata con Brescia, seguita da stringate righe correttive dei due Sindaci, Castelletti e Sala. Ma con l’ambiguo riferimento ad uno “stato attuale”. Mentre invece – e molto bene - la sindaca Castelletti è stata chiara nell’escludere tale ipotesi. E’ poi stata avanzata una proposta di incremento di capitale - in sede di presentazione del “Piano Strategico 2024-35 di A2A” - ma che riguarderebbe singoli Asset di attività e solo “investitori passivi”. Basta non sia il gradino intermedio, ma con sempre l’obiettivo della…“diluizione” finale dei Comuni.
Un precedente, però, ci dice che non s’è trattato solo d’uno “stormir di fronde”. Alludo alla vicenda del Fondo finanziario francese Ardian. Nel 2021/22, A2A aveva già sottoscritto impegni con Ardian per un nuovo assetto. Una NewCo con partecipazione del Fondo con un suo 45% di capitale ed un 55% di A2A. Con l’illusione di A2A di esser maggioranza. Ma sottovalutando che il Dominus della NewCo sarebbe stato invece il Fondo Ardian, che ha una sola voce. Mentre l’altro fronte, con la “diluizione” dei due Comuni (all’angolo con il loro 25% del capitale) e la frammentazione degli altri soci, avrebbe subito un mutamento radicale. Col cambio anche della “mission”, su cui è stata fondata A2A. Nonché il rischio d’una pericolosa divaricazione anche con l’attuale Management. Quindi il rischio d’una tutt’altra storia, protesa verso una…A3A!







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