Partito

Referendum: i perché d’un “SI” riformista ed antipopulista

Al Referendum voto SI, pur condividendo alcune ragioni del NO. Come due piatti d’una bilancia che oscillano in equilibrio, ma con un peso che fa poi la differenza. Dirigenti ed intellettuali di sinistra, in cui peraltro si riconosce la mia storia politica, hanno motivato le loro contrarietà. Anche con toni esorbitanti. Da parte mia nessun manicheismo, ma una scelta - quand’anche solo per realismo – del “male minore” o d’un “ex malo bonum”, ovvero la trasformazione d’un Referendum non voluto in qualcosa di buono. Quindi non Marx, ma Sant’Agostino, con la teologia politica che a volte…concorre. D'altronde lo stesso costituzionalista Zagrebelsky s’è ironicamente immaginato come l’incerto asino di Buridano davanti ai due mucchi di fieno del SI e del NO.
In primo luogo va rilevato –  come di recente sottolineato sia dal presidente Bonaccini che dall’on. Martina del PD – che la riduzione dei Parlamentari è da sempre una richiesta del Centro Sinistra. Come, per esempio, nella Commissione Costituente di D’Alema. Si obietta, mal scomodando i Padri Costituenti, che viene ridotta la rappresentatività costituzionale originaria, quando semmai si deve parlare della riforma del 1963 che ha stabilito i numeri attuali. Ma soprattutto non si considera che con le Regioni nel 1970 si sono aggiunti circa 1.100 “parlamentari regionali”, e già allora si pose il tema giusto della riduzione, dovuto al trasferimento di attività legislative alle Regioni. Ma non se ne fece nulla.



Renzi alle Regionali: bene o...non bene...? Sfogliando la margherita

Bene o...non bene...sfogliando la margherita per capire se la notizia sia più o meno buona per il centro sinistra. Propendo per il sì, ma valgono anche i motivi dei “perché”. Per i maliziosi: è un bene, perché finalmente così Italia Viva (IV) pesa il suo voto reale e – visti i sondaggi e non il gruppo dei fedeli nominati in Parlamento - si taglia pure le gambe in questa sua difficile corsa ad ostacoli.
Per me invece può esser una scelta positiva perché così finalmente IV si stabilizza (forse) con la sua collocazione anche nel Paese. Si responsabilizza. Ma può fare il doppio gioco, mi si obietta. Non più di tanto, in presenza del voto sul Presidente nelle Regioni. Se si schiera apertamente, votando per la destra sovranista, IV è presto finita. Se si schiera per dividere ed indebolire il centro sinistra aiutando indirettamente la vittoria della destra…pure! Da sola poi non va da nessuna parte. Su scala più generale farebbe la fine della dimissionaria Patrizia Baffi, già Presidente di Commissione d’Inchiesta Covid in Regione Lombardia.
Penso quindi che simili errori non verranno fatti. Per quanto possano esservi dubbi è il quadro delle convenienze che è cambiato e che va valutato. Un conto è traccheggiare un po’ come IV fa disinvoltamente alle Camere, un conto è un posizionamento alternativo al centro sinistra al momento del dunque d'un voto popolare, un conto se si esce dal Palazzo e dai suoi paciughi per misurarsi direttamente anche nelle diverse realtà del Paese in cui si è già parte di maggioranze di centro sinistra, come p.e. a Brescia a sostegno del sindaco Del Bono.
Quindi sono tra i fiduciosi, ovviamente se si fa anche come PD una politica di confronto aperto, di sfida e di iniziativa…Non pensando che la politica sia solo un PD inchiodato al 20% senza porsi invece nelle condizioni, nel dopo Covid, anche di avere un'idea d'uno schieramento maggioritario che non regga solo sulla somma aritmetica di PD e M5S. Quindi appesi solo alle vicende dei grillini e delle loro possibili circonlocuzioni e divisioni.
Una simile opinione mi viene guardando proprio le realtà locali. Brescia e Lombardia incluse, dove si vince unificando…. Non la faccio troppo facile, ma a mio parere…ciò è possibile, oltre che auspicabile. Vince chi si mette insieme per davvero in grandi flotte e non già chi pensa ad insegne sempre più feroci e battagliere da issare su d'un pennone sempre più alto, ma piantato sul fondo d’una barchetta che da sola poi si rovescia. Quindi immaginando ancora lotte sempre più fratricide ed arrembaggi tra corsari.


Rafforzare il governo per evitare la tempesta

Cosa ha detto di eclatante l’on. Andrea Orlando? Che “nelle prossime settimane vedremo attacchi al governo finalizzati alla sua caduta, ispirati anche da centri economici e dell’informazione”. Condivido, è la fotografia dei fatti.
Ma se l’attacco è di tale insidiosità è pure indispensabile porsi il problema di “come “ fronteggiarlo. Basta una chiamata alle armi in difesa di Fort Apache? Ciò che è necessario – ma ancora carente - è la risposta politica e di governo alla profondità della crisi, che non può rimanere la stessa predisposta nella fase pre-Covid.
“Resistere, resistere, resistere” potrebbe essere la bandiera d’una coalizione, quand’anche minoritaria, ma sorretta da uno spirito "eroico" di resistenti animati da ferrea convinzione, unità, determinazione e capacità. Ma è di tal fatta il nostro “spirito del tempo”?
L’evocazione stessa delle elezioni anticipate sarebbe efficace se la maggioranza - PD, M5S, Leu, IV - si presentasse unita a tale appuntamento. Ma già sappiamo – senza alcun dubbio amletico - che per ora non è così. Quindi ci si ritroverebbe pure con un PD solitario al 22% e con questo suo fallimento di Governo.
Ritengo che la forza dell’attacco - evidenziato da Orlando - sia data proprio dalle debolezze della maggioranza di Governo. Ed è proprio questo fatto che rende più agguerriti gli avversari, che confidano proprio nello sbrego delle palizzate di Fort Apache. Ed agiscono di conseguenza.
Ritengo inadeguate le risposte finora date. Due anni ancora così non si reggono ed il PD si ritroverebbe messo poi al giogo obbligato o d'un voto privo d’una alternativa democratica, o come l'appendice d'un “governissimo” imposto dalla Destra.



Il governo ripensi una apertura, con necessarie garanzie, di chiese e spazi religiosi

Ho condiviso l’impostazione rigorosa sulla vicenda Coronavirus proposta dal Governo Conte, così come la linea prudenziale imboccata dalla Fase 2. Ma non nascondo la mia obiezione sulla vicenda della esclusione dei fedeli per funzioni religiose in Chiesa, come è stata riconfermata dal Governo.
Non per ragioni di opportunità politica, a fronte delle reazioni scomposte ed evidentemente strumentali della Destra, che già ci aveva provato. Non per i grandi principi di libertà religiosa che nessuno ovviamente vuole conculcare. Ma per due valutazioni che a mio modo di vedere vanno tenute in seria considerazione.
La prima, e più evidente, è quella della adozione di un criterio di distanziamento sociale, a garanzia della salute, che viene applicato per vari spazi pubblici, per i trasporti, negli uffici e nei luoghi di lavoro… che a mio parere ragionevolmente può e deve essere applicato anche nelle chiese e nei luoghi religiosi, avendo assicurate le necessarie garanzie di rispetto del distanziamento da parte dei diretti responsabili e più in generale della CEI, come peraltro essa si era e si è impegnata a fare.
La seconda valutazione di carattere generale, oltre che evidentemente religioso - che sottolineo da laico non credente – è di natura morale e civile. Conclusivamente anche di natura politica.
Soprattutto in momenti drammatici come questi, dove il dolore si intreccia con le riflessioni sulla fragilità ed il valore della vita penso che tutti gli spazi e le occasioni di riflessione, di preghiera, di raccoglimento, di meditazione, e tra queste indubbiamente quelle offerta anche dalle Chiese e da luoghi religiosi, possano costituire motivo anche per poter riguadagnare fiducia, solidarietà, speranza e coesione sociale nel futuro delle nostre Comunità, anche locali.



Emergenza Covid: un campo democratico piu’ ampio a Roma come a Brescia

Partiamo da una considerazione vera, anche se sgradita. Non c’è politico o scienziato che nella vicenda del Covid 19 non abbia detto una qualche sciocchezza da… premio Nobel. Chi però s’attarda nel ginepraio di tali polemiche è alla ricerca non di verità, ma d’un alibi perché non sa che fare. Parlo non solo dell’emergenza sanitaria, ma della voragine economica e sociale aperta ormai sotto i nostri piedi. Gli indicatori – l’ultimo: 10 milioni a rischio povertà - ci dicono d’una nuova grande crisi come quella del ‘29. Ciò significa che il peggio ha ancora da venire!
Ci si aggrappa all’esempio della Ricostruzione, al Piano Marshall e all’unità nazionale di quel periodo. A mezze verità. Oggi nel mezzo d’una pandemia non c’è alcuna America che ci regali derrate e dollari. In quanto all’unità nazionale va pure ricordata la rottura di De Gasperi con PCI-PSI, ben prima del voto del ’48, con il decennio della Ricostruzione che ha visto i “socialcomunisti” alla opposizione. Con l’Europa divisa dalla Guerra fredda.
La retorica in politica è un’arma rischiosa a doppio taglio, quindi meglio è la verità affilata, ma da una parte sola. L’unità è esistita per il breve tempo della Costituente. Ma quell’esperienza è di insegnamento, perché ci impone ora una scelta analoga per importanza, ma di opposto segno, con le sinistre ora anch’esse protagoniste nell’indicare un nuovo confine. Quindi con una nuova sentinella che – come dice il profeta Isaia, così caro al compianto Cesare Trebeschi – stabilisca fin dove arriva il buio della notte, prima della luce del giorno.



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