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Possibile una ‘scissione amichevole’ nel PD?

Il prodiano sen. Franco Monaco ripropone la sua tesi: prendere atto dell’incomponibilità delle divisioni nel PD con una ‘scissione amichevole’. Il tutto per rendere poi possibile un’alleanza tra centro renziano e sinistra riformista. Insomma il famoso Centro-Sinistra, col trattino. A Monaco rendo il merito della sincerità perché dice quel che altri – e da fronti tra loro opposti – sussurrano. ‘Benvenuti, finalmente’, mi verrebbe da dire. Essendo tra coloro che nel 2007, e proprio su quel punto, persero il Congresso contro la ‘fusione a freddo’ del PD. Fatta con la spinta di Prodi. Nonché di esponenti DS. Pure loro in molti – anche a Brescia – oggi pentiti, penitenti e renitenti.

Ma - pur mantenendo quella mia stessa idea - nel bel mezzo d’una difficile navigazione del PD e del Paese, non debbo legarmi all’albero della barca per resistere all’incanto di tali mutabili sirene. Si dà infatti il caso che un processo politico non lo si riavvolga con un tasto come un ‘action movie’.

Intanto ‘amichevole’ una scissione? Un conto allora promuovere un processo federativo d’un centro cattolico con una sinistra riformista. Un conto oggi la rottura d’un partito. Scendendo per ‘li rami’ fino a Comuni e Circoli.

Contento della soluzione per il Senato molto per il PD, meno per la Costituzione

Se...un 'se' necessario, perché non sempre un impegno preso è stato mantenuto… vedi il voto unanime del PD sulla norma riguardante i licenziamenti collettivi del Job Act, concordato  in Commissione, ma poi stravolto in Aula. Quindi 'se' per davvero si concluderà, come ipotizzata in queste ore, considero la soluzione per il Senato ‘politicamente’ buona. Rendendo merito ai protagonisti della Sinistra ed allo stesso Renzi.

Politicamente, sottolineo, per il pesante rischio reale di rottura del PD che si è evitato. Nell'immediato e spero anche per il futuro. Con riflessi disastrosi anche per il Paese. Quindi contento, per davvero  senza ‘ma’, e con quel solo ‘se’ riguardante appunto il rispetto pieno dell’accordo raggiunto.

Viceversa, la situazione risulta ingarbugliata e molto meno convincente per la Costituzione.  Per il merito, inteso in senso stretto. Anche perché tale riforma risente negativamente dell’Italicum (che a mio parere rimane una pessima legge elettorale) che fa prevalere la logica dei nominati sugli eletti. Con la possibilità  inoltre di vedere quasi raddoppiati per un singolo partito i seggi in Parlamento rispetto al voto realmente espresso dai cittadini

Proprio da lì nasce lo 'sbilanciamento' complessivo del sistema costituzionale e dello stesso sistema politico.

Proposte vere di riforma per la Lombardia prima di spendere 30 milioni per il referendum

Da giorni s’è riaccesa l’attenzione sul Referendum, proposto dal presidente Maroni, per maggiori poteri alla Lombardia. E su cui già si sono opportunamente soffermati  - seppure con alcune tonalità diverse - il sindaco Emilio Del Bono ed il segretario del Pd Michele Orlando.

Che vi sia un intento strumentale della Lega è evidente. Anche perché finora essa s’è sottratta ad un confronto stringente in Parlamento sulla riforma del Titolo V della Costituzione, riguardante appunto i poteri delle Regioni. Poi capisco la tentazione - persino ‘voluttuosa’ per troppi politici -  di considerare le istituzioni una variabile dipendente dalla loro collocazione di governo e di potere. Al punto d’essere scatenati ‘autonomisti’ quando sono all’opposizione e ferrei ‘centralisti’ quando hanno in pugno le redini del governo. Ciò vale  pure per la Lega, in prima fila a sostegno d’un proprio centralismo regionale contro province e comuni. Come avvenuto anche di recente sulle deleghe, sollecitate dal presidente Mottinelli per Brescia.

Contento della vittoria nel Labour di Corbyn il rosso? no e..sì.

Il ‘No’ è presto detto: è probabilmente una scelta elettorale perdente.

Il ‘SI’ è un po’ più complicato. Richiede un giro di riflessione piuttosto  lungo, che ha a che fare con l’onda dei populismi e dei radicalismi. Al plurale, sempre. Perché nella storia anche recente non esiste populismo o radicalismo al singolare. Stando sul versante della sinistra Spagna, Grecia e la stessa Italia, con il M5S, ci dicono di un populismo/radicalismo figlio della crisi economica e della rottura degli equilibri geopolitici. Dell’incapacità del riformismo socialista-progressista di farvi fronte. Dell’Europa stessa, nello scacchiere mediterraneo, con guerre e migrazioni bibliche. Il tutto ben prima di Renzi.

Le risposte? Più o meno tutte in una rincorsa al ‘centro’. O con governi di solidarietà o con partiti che – come il PD renziano – inseguono il ‘centro’. Per identificarsene come 'partito della nazione'.

Mi si obietta: il solito politicismo. Stupidaggini. Cinici propagandisti od anime candide all’unisono ripetono sempre il solito 'refrain': prima i programmi, poi ne consegue il posizionamento politico ed elettorale.

Una riflessione sulla scelta dell'amico on. Lussignoli di lasciare il PD

Ho letto con molta attenzione la lettera aperta, ripresa dal Giornale di Brescia, che l’on. Piero Lussignoli ha inviato al segretario provinciale del PD, Michele Orlando. E con la quale egli comunica di lasciare il PD. Una lettera che addolora profondamente, ma che non mi sorprende. Che venga poi da una persona come Lussignoli – per la grande stima di cui gode, per la sua biografia, per il valore del suo impegno sociale, politico, amministrativo e parlamentare – è motivo di ulteriore riflessione. E – mi auguro - non di rimozione. Ma – con tutta sincerità – non mi va di fingere stupore, perché egli ha espresso motivazioni sulle scelte del segretario e del presidente Renzi, nonché sullo stile della sua direzione del partito, che sono molto diffuse e che stanno alla base d’un distacco che si è già ampiamente registrato sia nel voto che nelle iscrizioni al PD. Anche nella nostra Provincia.
Si tratta della “scissione silenziosa”, di cui si parla. Che poi tanto silenziosa non è, se consideriamo i dati dell’astensione nel voto e il calo vertiginoso degli iscritti. Per molti di noi questo è un problema enorme. Allarmante. Per altri lo è molto meno, calcolando solo il numero attivo dei votanti, sia nelle assemblee elettive che nel partito. Ritenendo che: tanto chi non vota non conta. Anche se la storia, in fasi di crisi e di rotture, s’è spesso incaricata di dimostrare proprio il contrario. Colmando vuoti, costruendo alternative.

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