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Interventi

Fenaroli: 25 aprile 2014 all’OM IVECO

Grazie per questa assemblea che riunisce i lavoratori e la città.

Dentro l’azienda che sta al centro del sistema industriale e occupazionale e che costituisce un nucleo decisivo della sua storia non solo produttiva, ma sociale, civile, politica. Così è doveroso ricordare e dare valore al contributo da qui dato alla liberazione. Questo cippo porta i nomi di 55 uomini che hanno perduto la vita come partigiani combattenti, e nel bombardamento della fabbrica che, con la città, fu colpita il 10 marzo 1945, e che non sono tornati dai fronti di guerra.

E’ importante che siano riuniti in un unico monumento: vittime della sciagurata guerra voluta dalla dittatura.

Per tutti Giuseppe Gheda, giovane operaio OM, corse in montagna nell’autunno del 43, catturato e condannato a 20 anni di carcere, riuscì a fuggire ed a riprendere la lotta partigiana, morì sul Sonclino il 19 aprile 45, a una settimana dalla Liberazione.

Anche Mario Donegani lavorava alla OM. “Sovversivo” perché ardito del popolo, confinato a Lipari per cinque anni, viene poi a lavorare qui. Il 13 novembre 43 è tra i prelevati da casa nell’eccidio di piazza Rovetta. Ritenuto morto viene lasciato lì nella via, ma riesce a fuggire ed a riprendere la montagna. Fu bruciato dai fascisti dentro un fienile a Mura di Savallo, il 26 ottobre ’44.

Liberazione: da cosa? Dalla guerra, dalla dittatura, dalla fame, dalla paura.

Ricordo di Piero Padula - a 5 anni dalla sua scomparsa

di Innocenzo Gorlani 

San Faustino 21 marzo 2014

Ho conosciuto Piero nell’estate del 1956, reduce dalla maturità classica conseguita a Desenzano. Me lo ha presentato il cav. Costanzo Dordoni di Quinzanello. Piero era delegato provinciale del Movimento giovanile della DC. Lo ricordo alto, magro, capelli neri, schietto, suscitava rispetto. Comincia lì il nostro sodalizio che avrà più di una ragione per consolidarsi – come dirà Mino (nel libro di Tonino Zana) degli amici della Base – che avevano in comune * professione, *casa, *partito, *corrente ! Che più ?

Intervento di Paolo Corsini sul PD

Cesare Damiano ci ha offerto un regesto prezioso delle politiche sulle quali dobbiamo cimentarci, ma credo sia opportuno tematizzare anche la questione della politica, al di là dell'elenco delle politiche. Quanto a questo profilo confesso che sono molto pessimista. Potrei condensare il mio pensiero parafrasando due righe dell'Orlando Innamorato, due versi che risalgono a 563 anni fa: "la politica, che non se n'era accorta, andava combattendo ed era morta". A prescindere dalla provocazione, certamente paradossale, il quadro con il quale dobbiamo misurarci resta senza dubbio deprimente.

In effetti l'antipolitica, il populismo regressivo da un lato e l' apolitica dall'altro - l'assenza di politica che abbiamo constatato anche alle ultime consultazioni amministrative, emblematico il caso di Viareggio dove noi vinciamo con il 78% e vota a malapena un terzo dei cittadini - ci dicono che lo spazio della politica è sempre più contestato, negletto, persino rimosso nel tempo di un linguaggio defraudato ed inespressivo. Twitter in sostanza dice di un  cinguettio querulo e svagato, Facebook di un'estetizzazione permanente che si traduce nel “mi piace”; svanisce l'impegno di un discorso pubblico retto sull'argomentazione politica capace di suffragare disegni e progetti. Per questa ragione credo dunque che il tema del partito sia centrale. Per quanto mi riguarda rifuggo da una politica che è sempre più rappresentazione e sempre meno rappresentanza, quella politica contemporanea che si riassume nella democrazia del pubblico, per cui i leaders politici sono gli attori che recitano sulla scena di un teatro di cui i cittadini sono gli spettatori. E così pure ritengo che si debba mantenere alta la soglia di difesa nei confronti di quella democrazia istantanea, senza mediazioni, che abolisce dal proprio orizzonte il tema dei fini, l'obiettivo di una crescita della civiltà della convivenza, quella democrazia per la quale la società civile diventa opinione pubblica che a sua volta si trasforma in audience. Se questa raffigurazione è minimamente probabile allora il partito è a questo punto fondamentale perché soltanto un partito che sia consapevole di se stesso, del suo ruolo, delle sue funzioni, può restituire dignità alla politica e pienezza alle sue ambizioni. Per quanto riguarda il Partito democratico due sono le derive da evitare.

Claudio Bragaglio: Commemorazione di Alberto Trebeschi

Iniziativa per il 28 maggio Aula Magna “A.Trebeschi” I.T.I.S. “B. Castelli” Brescia

 

Ricordiamo in quest’Aula Magna, a lui dedicata, la figura del prof. Alberto Trebeschi, docente di fisica del nostro istituto, vittima insieme alla moglie Clementina Calzari Trebeschi, nella strage di Piazza della Loggia.

In quel 28 maggio del 1974, lo scoppio d’una bomba, durante una manifestazione antifascista, promossa dalle forze politiche democratiche, dalle associazioni dei  partigiani e dalle organizzazioni sindacali, provocò otto vittime e un centinaio di feriti. Una stele in piazza Loggia ricorda quel drammatico avvenimento.  

Non è facile fornire oggi un’idea precisa e comprensibile di quel periodo,  definito come “strategia della tensione”, messa in campo contro la democrazia italiana. Con stragi ed attentati di matrice fascista o l’uccisione di esponenti politici, si pensi ad  Aldo Moro e alla sua scorta, da parte delle Brigate rosse.

Incontro allo Spazio Aref per il NO al Bigio - relazione di Valerio Terraroli - 23 01 13

Ringrazio di questa breve, ma ricca raccolta di dati e dell’analisi storica di una situazione che la città ha vissuto, o meglio, ha subito nel corso del tempo ed è corretto ricordare che, in realtà, i progetti di sventramento dei centri urbani risalgono a ben prima del fascismo, perché con lo stato unitario questa necessità era diventata incombente. Da un lato, essa era giustificata da una mal interpretata idea di risanamento dei centri storici, il che ha voluto sempre dire “prendere” la popolazione più povera che abitava nei centri storici degradati e spostarla nelle periferie: ciò è accaduto a Brescia, come a Roma e in altre realtà urbane tra inizi Novecento e il secondo dopoguerra. Dall'altro lato, l'operazione legittimava una evidente speculazione edilizia che raccoglieva investimenti, pubblici, ma soprattutto privati, e trasformava in modo definitivo i volti storicizzati delle città storiche. Detto questo, va anche riconosciuto un dato, che credo sia importante condividere, prima di affrontare il problema che ci vede qui riuniti stasera, cioè il fatto che il progetto di Piacentini era ed è, indubbiamente, sia dal punto di vista storico, sia da punto di vista della storia dell’architettura, un progetto significativo e importante.

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