Partito

Provincia di Brescia: un bivio obbligato tra Centro Destra e Centrosinistra

E’ opportuna un’attenta valutazione sulla vicenda della Provincia nel PD e nel Centrosinistra. Emilio Del Bono ha proposto un patto per una gestione unitaria tra Centrodestra e Centrosinistra. “E’ la casa di tutti – sostiene - e la Provincia non può avere maggioranza e minoranza politica”. Una tesi che non condivido. Corrisponde ad un’idea di tempo fa, col Broletto come “Casa dei Comuni”. Ma – per esempio - non credo possa valere oggi per la stessa Loggia, bersagliata ad ogni piè sospinto dal Centrodestra di Rolfi, immaginando poi una sua recita in Broletto con opposte “parti in commedia”! Così come per gli altri Comuni. E’ evidente l’equivoco, perché le politiche amministrative che dividono i Comuni, non si anestetizzano poi in Provincia. Anzi! Infatti stiamo parlando non dell’Anci, ovvero della Associazione di tutti comuni, ma di governi locali eletti in base a diverse liste politiche, quand’anche civiche. E che tali restano anche in Broletto. Non a caso il tavolo della trattativa in atto è quello dei partiti provinciali. Oltretutto, in un modo troppo ristretto, perché mi pare non coinvolga i Sindaci, a partire da Laura Castelletti, Sindaca del Capoluogo.

A maggior ragione se considero, quanto lo stesso Del Bono ha sostenuto, in una recente Assemblea interregionale del PD, con una dura accusa – da me condivisa – contro il centralismo della Giunta Lombarda nei confronti dei Comuni e con riferimento alla “autonomia differenziata”, da contrastare con un Referendum. Opzioni, quindi, del tutto divaricanti. Ben sapendo che le materie della Provincia sono diventate purtroppo la protesi della Giunta regionale nelle diverse realtà locali!
L’idea della “Casa comune” per le Province deriva dalla “riforma” Delrio. Ma tale legge s’è rivelata un errore, sia per il sistema elettorale (tant’è che si richiede il voto dei cittadini), ma soprattutto per la soppressione/riduzione di competenze provinciali, a scapito degli stessi Comuni, esposti così ad un centralismo regionale. Il tutto perché non riformando le Province (con la riduzione anche del numero da 110 a 70), è venuto meno anche l’equilibrio tra le varie rappresentanze locali e si son messi i singoli comuni alla mercé delle Giunte regionali! Ma da quell’errore è necessario uscire restituendo alle Province riformate il ruolo politico d’un governo comprensoriale. Consapevoli delle diversità politiche riguardanti materie come: tutela del territorio, ciclo idrico, cave e discariche, depuratori…Magari per revisioni del Piano Cave e del depuratore del Garda…

Nelle more di questo passaggio ci si era immaginato per Brescia anche un risultato elettorale di parità. Ovvero di 8 e 8 eletti tra gli opposti schieramenti, con il Presidente ancora in carica. Il ché ci avrebbe costretto – opus contra naturam – ad un accordo per evitare la paralisi della Provincia.
Ma il risultato è stato diverso, con il Centrodestra in maggioranza di 10 a 7, comprensivo anche del Presidente Moraschini, che si era posto super partes, ma che è pure lui di Centrodestra.
Questa la realtà.


Bragaglio: la Provincia non è la casa di tutti - bivio obbligato tra destra e sinistra (BsNews 11 novembre 2024

La sfida aperta dal nuovo PD per il “campo largo” a Roma e a Brescia

Dovrebbero bastare le allarmanti vicende di Italia, Francia, Germania,… con l’espansione della Destra, anche estrema, per imporci scelte coraggiose. Mentre invece non mi convince la discussione sulle alleanze del Pd. Sui petali sfogliati tra un sì ed un no per Renzi, per Calenda o per un M5S diviso tra Conte e Grillo. Un tale confronto è fuori orbita rispetto alla gravità del momento. Ma ogni cosa ha il suo tempo. E quello del PD oggi è per la più ampia alleanza contro la Destra meloniana al governo. Risparmiandoci il dubbio amletico se vien prima l’alleanza od il programma. Pur di star fermi. Quindi si parta dalla politica e che sia: “Campo largo”! Peraltro già in ritardo di ben 5 anni, visto che Zingaretti da segretario del PD lo lanciò nel 2019.
Ma tale ritardo non è ascrivibile solo alla riottosità degli alleati. Che pure c’è stata! Perché la maggiore responsabilità è in capo al PD. Che, fin dalla sua nascita nel 2007, s’è dato uno schema bipartitico. Quindi, contrario alla promozione delle alleanze politiche. Con quella sua fumosa “vocazione maggioritaria”, nel tentativo di rispondere alla crisi dell’Ulivo con il “partito unico” del centro sinistra. Esponendo peraltro il PD ad una suicida politica schizofrenica, tra un PD solitario a livello nazionale ed un PD invece coalizionale in Regioni, Province e Comuni. Basti ricordare in Loggia la vittoria di Castelletti sindaco, con il 55% di otto liste, ma con il PD al 26,6%!
Con la vittoria di Schlein al Congresso molto è cambiato. Ma nello Statuto del PD è rimasta l’ambiguità di quel PD “bipartito”, che fa del Segretario del PD lo scontato candidato a capo del Governo! Un’assurdità, in uno schema coalizionale, che va rimossa.



La sconfitta di Chiari? Per un “Terzo Polo”… all’opposto di Brescia

Sul Giornale di Brescia del 25 giugno, col titolo "Ballottaggio Chiari. Io non ho votato e vi spiego perché", Lorenzo Festa avanza alcune riflessioni motivate e serie sulle elezioni di Chiari. Leggendole mi son chiariti ulteriormente gli elementi che ci han portato al risultato negativo di Chiari ed alla impossibilità d’un accordo per responsabilità non già del PD, ma del candidato Sindaco Codoni, nonché dell’ex sindaco Vizzardi, oggi Consigliere regionale. Convincenti spiegazioni sono state fatte anche dal candidato Sindaco Salogni e dal PD di Chiari.
Da parte mia vorrei far parlare anche alcuni numeri per dar conto d’una operazione che ha suscitato perplessità anche fuori Chiari. Con numeri che dicono, insieme alle parole, il senso d’una inaccettabile operazione. Sto solo a quanto è avvenuto, non considerando – volutamente! – ipotesi di futuri traghettamenti verso destra in quel di Chiari. Che spiegherebbero...l’inspiegabile!
Ripercorriamo appunto i numeri. Al primo turno: Zotti con il 34% (destra), Salogni con il 28% (centrosinistra), Codoni con il 28% (Terzo Polo civico). Per la legge al ballottaggio vanno Zotti e Codoni. Alleato al Centrosinistra, Codoni avrebbe quindi avuto  la vittoria in tasca.
 
Con riferimento alla precedente esperienza di Giunta con Vizzardi sindaco, vicesindaco Libretti del PD e Codoni Assessore… quest’area plurale oggi avrebbe avuto più o meno un bel 56%. Il tentativo per un possibile accordo - quello che in tutti i normali Comuni sarebbe stato possibile - viene invece rigettato. Ovvero l’apparentamento o l’accordo per un governo locale condiviso anche nelle responsabilità e reso pubblico tra le due forze. Ed è qui che il fattore “arroganza” si manifesta! E con riferimento ad un’evidente logica di occupazione del potere locale. Di mani libere. Con la presunzione d’una scontata vittoria di Codoni, con una parte del voto di Centro Sinistra.




Sindaca Castelletti - per un decennio in Loggia?

Ritengo che l’arco decennale ipotizzato dalla Sindaca Castelletti sia frutto d’un ragionamento motivato. Condivisibile nella sfida lanciata dalla Sindaca a se stessa ed a tutti noi. Infatti, tale progetto di ampio respiro è la miglior prospettiva anche per i nostri passi del presente in vista del futuro.  La condivisione d’un serio impegno è poi anche il modo più efficace per contrastare fughe solitarie o scorciatoie personali. Con le divisioni che spesso la politica alimenta. Di cui si è avuto più d’un sentore, sia a livello di Giunta che di Consiglio. E che la stampa ha documentato.
Avendo una certa qual esperienza in Loggia, me ne guardo bene dal fare “prediche inutili” di einaudiana memoria. Anche in passato vi sono stati momenti aspri di lotta politica tra schieramenti e nei partiti. Si pensi al calvario del sindaco Trebeschi dall’81 all’85, privato d’una sua maggioranza. Al periodo ’90-94, in traumatici passaggi e ben tre elezioni del Consiglio, con Sindaci Padula, Boninsegna, Panella, Corsini, Martinazzoli. Quindi me ne guardo bene dal fare del “moralismo” in fatto di lotta politica. Ma sono fasi storiche del tutto diverse. Allora c’era forse un troppo di politica.  Oggi  invece avverto  il rischio opposto, ovvero che il Centro Sinistra sia passato in politica dal “troppo” di ieri al…”troppo poco” di oggi!


...Mah! Tra tessere PD con Berlinguer e Schlein nel simbolo del PD

…Mah! Che dire? Se non banalmente che “ad ogni giorno basta la sua pena”…Anzi due, visto che si tratta del PD. Con queste sue due pene, lo dico subito, che mi infliggo e subisco, ma che non condivido.
Gli occhi di Berlinguer sulla tessera
Da sempre berlingueriano del Compromesso Storico, ritengo – persino provocatoriamente - che anche oggi, pur cambiando tutto ciò che va cambiato, è stata ed è l’unica grande politica della sinistra progressista in Italia. Fatta di alleanze sociali e politiche tra le forze della sinistra e quelle cattoliche. Questo il cuore. Con gli alti e bassi che sappiamo. E’ alla base – unitamente alla terza fase di Moro – dell’Ulivo. E solo in parte dello stesso PD poi. Quindi non frontismi tra Pci e Psi, non l’occhettiano schieramento dei Progressisti contro il Partito Popolare di Martinazzoli. Ma invece tutto ciò che è stato ed è ancora oggi il percorso vincente nei Comuni , anche a Brescia, da Martinazzoli a Castelletti. Una incancellabile matrice di alleanze tra forze distinte e plurali, seppur con vari volti e nomi. E non già il partito unico e maggioritario del Centrosinistra.
Ma se lo stesso PD è frutto di quel pluralismo, ciò non significa che Berlinguer ne sia un padre fondatore. Come non lo sono De Gasperi o Moro.... Capisco il risvolto drammatico in queste ore della “questione morale” in Puglia e d’intorni. Come pure il valore anche oggi del forte richiamo berlingueriano. Ma su una tessera del PD, se hanno ancora un valore le diverse storie e che non sia uno spot del momento…no!


Serve un campo largo bresciano

Riprendo una riflessione interessante che il rappresentante del M5S, l’ing. Luca Cremonini ha affidato al Giornale di Brescia, il 25 marzo. E lo faccio all’indomani dello strappo pugliese tra PD e M5S. Non riprendo le polemiche tra Schlein e Conte. M’immagino piuttosto seduto in riva al fiume mentre annaspano sia il Pd che il M5S. Con quel loro accapigliarsi nei gorghi, ma pensando di vincere l’un sull’altro. Inconsapevoli del rischio d’una comune brutta fine. Che è presto detta, in quanto la Destra porta con sé, nella sua vittoria, oltre i propri voti, pure quelli d’una Sinistra che - sempre più schifata - vota nessuno dei due: né PD, né M5S. Ingrossando così il “partito dell’astensione”. Col PD che è passato dal 33, al 40, al 20%. Il M5S dal 33 al 16%. Mentre – lo ricorda Michele Ainis in “Capocrazia” – la Destra col suo 30% dell’elettorato italiano incassa il 56% dei seggi in Parlamento. Proprio a causa anche di quel “non voto” che queste Sinistre, tra loro litigiose, fan di tutto per…meritarsi! Come i  capponi del Manzoni che si beccano tra loro prima di finir sul fuoco. Ma che in verità eran quattro, quei capponi, quasi già previsti, fin d’allora, pure gli altri due, Renzi e Calenda, del fu “Terzo polo”.
Si martella in queste ore sulla fine del “campo largo”. Anche nel PD. Bene, ma per qual altra politica? Per il ritorno al PD solitario del partito maggioritario? Auguri! Per l’alleanza col Terzo Polo bell’e che sfasciato? Auguri. Per l’ennesima scissione per rifare una simil-DC, come si strologa in queste ore? Auguri. Il mio timore è piuttosto l’amalgama (e dagli ancora!) d’un po’di tutto ciò. Quindi l’eterno zigzagare del PD. In un caos per nulla calmo. Mentre l’unica strada rimane il…“campo largo”! Non proprio questo, che ha troppo della pietraia incolta e pure stretta!
Ma un campo da rifondare, ma che non c’è ancora. Ma come c’è invece in molti Comuni e – soprattutto - c’è come bisogno del Paese. Magari con un nome nuovo, come si fece con l’Ulivo. Ma
che – basta il minimo sindacale della fantasia - evochi quella sua anima progressista. E non già una
roba da strisce segnaletiche al vento, con picchetti piantati da un geometra.

Un PD con una sola "vocazione maggioritaria": il “largo campo progressista”...da costruire!

Illusione in Sardegna e delusione in Abruzzo? Direi di no. Ora però vanno contrastati nel PD gli sbandamenti alle curve che si rendono necessarie o il cambio compulsivo dei piloti.
Nessun partito può vivere con due opposti cuori in petto. Ciò vale anche per un PD nazionale che nasce e s’immagina autosufficiente, con una vocazione maggioritaria in un sistema bipartitico. Mentre in Regioni, Province e Comuni il PD promuove ampie coalizioni. Pensiamo al voto per il Comune di Brescia, col PD al 26% e la Sindaca Laura Castelletti al 55%. Si tratta non solo di diverse regole elettorali, ma di opposte visioni nel rapporto della politica col Paese. Con un’Italia profonda il cui pluralismo sociale, territoriale e culturale risulta incomprimibile in rigide forme bipartitiche. Ed il PD che vince è solo quello delle ampie alleanze, anche sociali e civiche. Come peraltro confermato anche dall’esperienza bresciana.
E’ nota la predilezione del PD per i collegi uninominali, tipici dei sistemi bipartitici. Ed è questo, per me, il suo “legno storto”. Come se il voto dato agli alleati fosse un qualcosa sottratto al PD. Infatti dopo il fallimento dell’Unione prodiana, nel 2006, la risposta è stato l’accordo per una riforma elettorale “bipartitica” di Veltroni con Berlusconi.
Ma la mia critica precede il PD e riguarda anche il PCI-PDS-DS che ha promosso modalità non convincenti pur di farlo nascere così. Pensando che il PD fosse il coronamento dell’Ulivo e non già – come ritengo - la sua liquidazione. Il famoso: amalgama mal riuscito! Con la sottovalutazione della peculiarità sociale e politica  – non già un’anomalia! – rappresentata sia dalla DC e dal Mondo cattolico, che dalla migliore eredità del PCI, non travolta dal crollo del Muro di Berlino. Una peculiarità particolarmente significativa e confermata in terra bresciana e lombarda.
Ma il PDS occhettiano appena nato s’imbarca nei Progressisti e si separa dal Patto Segni e dal PPI di Martinazzoli. Mentre – tra loro insieme nel ’94 - avrebbero ottenuto il 49,5%. Da ciò e per entrambi la sconfitta e la vittoria di Berlusconi con quel suo 43%.  Dopo pochi mesi a Brescia si avvia con Paolo Corsini l’operazione d’una ampia alleanza, dal valore nazionale. Con la vittoria di Martinazzoli sindaco ed un Ulivo “ante litteram”.


Campus Edilizia un nodo politico da sciogliere

Mi auguro un chiarimento per evitare un’ulteriore frattura nel PD e nel Centro Sinistra in Loggia. La proposta di Campus Edilizia è stata zigzagante. Prima s’è parlato d’una condivisibile “Fondazione di partecipazione”, con un’impronta culturale. Nel Programma elettorale di Castelletti Sindaco vi era un solo cenno. Nel Documento approvato in Consiglio un salto in alto. Poi un ulteriore cambiamento con lo Statuto, oggi all’esame. Se, come dice l’Assessore Tiboni, Campus offrisse un contributo culturale non ci sarebbero problemi. Anzi. Ma irrisolti sono interrogativi importanti. Come mai Campus Edilizia passa da una “Fondazione di partecipazione” ad una Fondazione di Terzo Settore? Come mai soggetti economici di tipo profit, esclusi per legge dal Terzo Settore, adottano proprio una Fondazione di Terzo Settore? La differenza sta in una parola: “co-progettazione”, tra pubblico e privato. Come previsto dalla legge per quelle particolari realtà sociali e cooperative no profit.
Il capogruppo PD, Roberto Omodei, sostiene che la legge non prevede la coprogettazione in campo urbanistico. Vero e lo prendo in parola. Ma se una Fondazione, che si regge sulla coprogettazione, vede presenti soggetti privati direttamente interessati alla edilizia come fa il Comune a non avvertire l’esigenza politica di tutelarsi. Sia per l’oggi che per il domani. E se in futuro vincesse il Centro Destra di Rolfi? Tutelando gli stessi imprenditori, quelli corretti, che non vogliono confondersi con eventuali profittatori. Di cui è pieno il mondo e le cronache ogni giorno! Anche solo per un principio di cautela. L’emendamento Curcio è nient’altro che questo. Non ci si può limitare a dire solo ciò che non è previsto, ma scrivendo - nel dubbio - ciò che va escluso, e cioè la coprogettazione dei Piani urbanistici. Superfluo? Meglio, ma ci si tutela per l’oggi ed il domani. La netta separazione tra gli interessi in campo fa parte della nostra storia migliore degli assessori all’urbanistica, da Bazoli con Benevolo a Gorlani, da Corsini a Venturini. Memori anche dello scandalo Giancatterina che mise in ginocchio la Giunta Trebeschi nel 1983. Una Loggia quindi che si confronta con tutti soggetti economici, ma pure sociali: Sindacati, Associazionismo, Quartieri…Ma con l’autonomia delle proprie decisioni, nell’interesse generale della città.



https://bsnews.it/2024/02/11/campus-edilizia-tutelare-futuro-brescia-claudio-bragaglio/

Interrogativi sul rapporto tra “Fondazione Campus” e Loggia

Ho condiviso l’apprezzamento della Sindaca Castelletti sulle ricerche presentate dalla Fondazione Campus in Loggia. Ma mi pongo interrogativi sui rapporti tra Campus ed il Comune. La formula proposta è sorprendente. Infatti soggetti rappresentativi di grandi categorie economiche e di costruttori (Aib, Ance, Collegio Costruttori…) adottano la formula della “Fondazione del Terzo Settore”, pur non essendo assimilabili alla sua socialità. Infatti si adotta tale speciale Fondazione in quanto essa fa propria per legge la co-progettazione tra enti pubblici e privati, ma applicata ad ambiti sociali, ben diversi dalla pianificazione urbanistica e dal governo del territorio.
Ci si pone l’interrogativo della presenza del Comune tra i soci fondatori. Infatti, all’indomani di accordi con vari “Stakeholder” di Campus, la voce stessa del Consiglio e degli altri soggetti della partecipazione cittadina risulterà affievolita. Ma su temi così strategici chi oggi è maggioranza non può escludere di ritrovarsi in futuro all’opposizione, ma con una voce resa afona per propria responsabilità. Possibili poi i cortocircuiti d’una Giunta che sul governo del territorio potrebbe ritrovarsi a svolgere ruoli “double face”, magari confliggenti.


Un decalogo di dubbi su Elly Schlein candidata in Europa

Alcuni dubbi e riflessioni critiche sull’eventuale candidatura della Segretaria, Elly Schlein – in tutte le cinque Circoscrizioni od in parte – per il voto in Europa. In un personale modesto…decalogo.
Primo. La progressiva occupazione di ruoli – Segretaria del PD, Deputata alla Camera, poi Parlamentare in Europa - ma nell’impossibilità di poterli sommare, quindi  non potendo poi farvi fronte.
Secondo. Il rischio della riproposizione del peggior “politicismo”, con candidature istituzionali ritenute strumentalmente funzionali solo ad un interesse di corrente o di partito.
Terzo. Il danno per le altre candidature femminili in Europa, derivato da una obbligata concentrazione degli sforzi sull’esito della Segretaria nazionale. Di conseguenza, delle tre possibili “preferenze” con alternanza di genere, le due rimanenti – come da precedenti esperienze - vanno in netta maggioranza a candidature maschili.
Quarto. L’effetto di imitazione della probabile candidatura in Europa dell’on. Meloni. Nell’illusione di avvalersi della contrapposizione: Meloni-Schlein. Quando il meglio della Segretaria del PD – e la ragione del suo successo congressuale - sta proprio nel suo esplicito rifiuto di queste logiche di potere.

Un Pd “federativo” per un’ampia coalizione - l’esperienza bresciana

L’on. Pierluigi Castagnetti critica Elly Schlein perché nella Segreteria del PD non c’è un “Popolare”. Schlein risponde che “senza cattolici non c’è PD”. Bene. Ma in questo pingpong vi sono due nodi irrisolti. Perché l’Area di Bonaccini, data la sua composizione, non ha reclamato un Popolare in Segreteria? Perché dovrebbe esserci tale rappresentanza, ma in assenza d’una Area cattolica strutturata nel PD? In realtà queste contraddizioni derivano da un problema irrisolto dal PD. Lo stesso nodo che ha portato alla crisi l’Ulivo di Prodi nel ’98 ed è rimasto irrisolto nel 2007 con la nascita del PD.
E’ il problema che deriva dalla singolarità del “caso italiano”, rappresentato dal decisivo rapporto tra un’area cattolico-democratica e la sinistra riformista. Già risalendo all’Aldo Moro della “terza fase” ed al Berlinguer del “compromesso storico”. Confermato – per converso - anche dalla “débâcle” dei Progressisti di Occhetto, nel voto del ’93, schierati contro i Popolari. Da lì poi la svolta - di rilevo nazionale - verso l’Ulivo con Martinazzoli Sindaco a Brescia nel ‘94 e per la quale s’è vinto allora e si rivince ancora oggi in Loggia.
Nell’Ulivo prima e nel PD poi si sono scontrate due opposte tendenze che guardavano al di là dall’Italia. Al Partito Democratico degli USA, con un PD dal confuso “meticciato culturale”. Anche da ciò – ritengo - la mancata adesione al PD d’un Martinazzoli. La seconda, ad un Partito socialista europeo. Con una tale dualità anche a sinistra tra Veltroni e D’Alema. Con nel petto del PD queste anime opposte.

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